CONTRASTI INDIANI


Daniele Pigoni rende omaggio a una civiltà ricca di storia e di sacro dove il contemporaneo è giunto inesorabile a scalfire tradizioni millenarie. L’uomo è imbrigliato da questa ragnatela dell’oggi rappresentata dal caos automobilisticProseguendo nel suo percorso di viaggiatore e di artista, Daniele Pigoni scopre nuovi luoghi lontani del mondo e della mente. I suoi incontri sono motivo di rinnovato interesse per lui e per i suoi compagni di viaggio, traghettati nelle geografie indiane oggetto di questa esposizione. L’uso reiterato di simbologie possenti o cittadino e si confronta quotidianamente con esso per sopravvivere, ma soprattutto per mantenere, nonostante tutto e contro tutto, il proprio senso della vita e del sacro. Daniele Pigoni coglie con straordinaria vitalità il rinnovarsi di un mondo che fatica a stare al passo coi tempi e che, comunque, si mostra estremamente malleabile in questa operazione di sopravvivenza. Ce lo comunica con l’intelligenza che gli è propria sempre dosando, come un bravo alchimista, simboli e forme, colori e materiali. La predilezione del punto di osservazione dall’alto, da sempre presente nel suo lavoro, rinnova l’aspetto del distacco che sembra voler mantenere col suo vissuto, sia esso umano che ambientale. Il fascino del volo, che l’artista estrapola dal mondo dei sogni, gli consente di mantenere quel necessario distacco e disincanto da realtà che a volte feriscono per la crudezza delle situazioni rappresentate. Daniele Pigoni non maschera nulla, ma non sente la necessità di trasmettere all’osservatore sensazioni angoscianti. La calma caotica che sta dentro di lui lo induce a rivelarsi con la sapienza del saggio orientale che raccoglie i suoi pezzi e ce li offre dopo lunghi ripensamenti ed estenuanti elaborazioni mentali che non sempre hanno una valenza temporale, tanto che alcune intuizioni sono il frutto di una notte, ma nella loro complessità ci vegono donate con la pazienza e la discrezione che da sempre gli appartengono. Il lavoro di Daniele non è mai urlato o esibito in forme ecclatanti. Chi vi si accosta sente la necessità della percezione dei silenzi che si possono raccogliere fra le urla dei suoi mercati o fra i clackson del traffico cittadino. In questo miasma di rumori l’isola mentale dello spirito riesce a mantenere il suo spazio fisico che l’artista evidenzia, a volte nei colori argentati, altre nella purezza del nero che ci riporta ai monoliti scolpiti nel tempo. Nel disordine architettonico di Chandi chowk o di Haridwar questi simboli del sacro assumono una forte connotazione che, all’interno dell’opera si identifica non solo per la sua valenza cromatica, ma soprattutto quale espressione semantica del suo essere lì, ora e per sempre. In opere come Red la forma crucifera spiazza ancor di più l’osservatore ma, proprio perché nata come forma mentale dell’artista piuttosto che come proposizione del sacro, si presta a contenere un disordine meccanico, caratterizzato dal rosso, ed uno umano che assume i connotati di brandelli sceletrici  disegnati da sottili fili metallici. La rappresentazione della figura umana è una delle sfide che ha sempre mostrato di gradire per rompere alcuni schemi, soprattutto mentali. E’ raro vederla nella sua interezza; più spesso assume i connotati di un segno animistico, a volte statico, altre più dinamico e vibrante. I rapporti con l’ambiente e le influenze che questo ha sull’uomo è uno degli altri grandi temi che affascinano l’artista. L’elemento dell’acqua,rappresentato in Pushkar, in Rishikesh e in Varanasi, non è solo elemento della terra ma anche della donna e quindi acqua uterina che raccoglie in sé i germi della creazione ed il vivere in simbiosi con essa è aspirazione di ogni essere umano. Un altro aspetto da sempre attentamente osservato è quello dei rapporti fra le leggi o regole del luogo e le persone a cui sono destinate. E’ il caso di un’opera come Dogs dove la grande eleganza formale rappresentata in quattro sagome scure rappresentanti i Veda, leggi sacre indiane, ne comprimono una chiara in cui sono annidati dei cani bianchi, metafora purificata dell’uomo, imbrigliati con lacci di corda. L’uso attento dei materiali come i legni, i poliuretani, i cementi rasanti, i ferri, è divenuta una costante nel lavoro artistico di Daniele Pigoni. La sua capacità nel mantenere il necessario distacco da essi perché non divengano elemento predominante ma solido strumento espressivo, è la grande cifra stilistica dell’artista. Il suo viaggio ha preso vie nuove ma il legame con il vissuto è forte. I mondi cambiano ma rimane immutata la sua necessità di raccontarci gli abissi e i livelli celesti espressione degli stati di sofferenza e dell’esaltazione spirituale.


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